Il volume sui «caratteri originari» che inaugurò nel 1972 gli Annalidella Storia d’Italiadell’Einaudi avrebbe dovuto includere, secondo il progetto iniziale, un contributo di Roberto Paris su «L’Italia fuori d’Italia», che fu invece pubblicato nel 1976 e che individuava nell’emigrazione uno dei fenomeni strutturali nella storia del Paese.
Tuttavia si sono dovuti attendere quasi quarant’anni e il ventiquattresimo tomo della prestigiosa collana per vedere sancita tale centralità. La circostanza non è affatto casuale: come spiegano, infatti, i curatori Paola Corti e Matteo Sanfilippo nell’introduzione, ed Emilio Franzina in uno dei saggi più originali dell’opera, molta parte della storiografia italiana ha a lungo considerato quella dell’emigrazione dalla penisola come una storia altra, che avrebbe riguardato essenzialmente i Paesi di destinazione dei flussi, lasciando che ad occuparsene fosse una schiera, inizialmente piccola e nell’ultimo quindicennio via via più folta, di specialisti.
Nello specifico della Storia d’Italiaeinaudiana, non è il caso di rammaricarsene più di tanto, poiché il ritardo con cui è stato pubblicato questo Annalededicato alle Migrazioniha influito in modo determinante nell’impostazione generale dell’opera, dandole un respiro cronologico e tematico che probabilmente non avrebbe avuto se fosse stata concepita anche solo due decenni prima. Come si evince dal titolo, la tesi forte del volume, che auspicabilmente aprirà la strada a nuove indagini, è infatti, da un lato, che non la sola emigrazione ma i movimenti migratori tout court, in uscita, in entrata e all’interno della penisola, abbiano inciso profondamente nella storia nazionale; e, dall’altro, che ciò sia avvenuto in un arco di tempo che va, senza soluzione di continuità, dal Medioevo ai giorni nostri.
Sullo sfondo di questa interpretazione vi è l’idea, che si è fatta progressivamente largo nei migration studies, che le migrazioni siano una costante di tutti i tempi e di tutti i luoghi nella storia dell’umanità. A sorreggerla, per il caso italiano, sono le tante ricerche condotte negli ultimi anni, in primis dagli stessi curatori, sulle varie forme di mobilità d’Ancien régime; ma sono anche, per altri versi, l’attualità e le statistiche: sia quelle che dimostrano come gli espatri dalla penisola non siano cessati negli anni ottanta del Novecento; sia quelle che collocano ormai l’Italia tra i principali paesi di immigrazione in Europa. Realtà, quest’ultima, che ha stimolato gli studiosi a risalire all’indietro e a ragionare sulla presenza e sul ruolo degli stranieri nel Paese anche nei secoli passati.
Il volume, dunque, rompe con schemi consolidati, che hanno isolato la fase della cosiddetta «grande emigrazione» transoceanica e separato gli studi sull’emigrazione da quelli sull’immigrazione, e scompagina le stesse frontiere tra le discipline (tra i collaboratori figurano, accanto agli storici, sociologi e antropologi); ma lo fa, opportunamente, senza dissolvere nella chiave di lettura della lunga durata e nel concetto di mobilità fenomeni che vanno tenuti distinti, per natura e proporzioni. I trentanove saggi che compongono l’Annale, infatti, sono organizzati diacronicamente in tre parti, che individuano due cesure fondamentali: il momento il cui l’Italia, intorno alla metà dell’Ottocento, si inserì nel generale esodo di massa dall’Europa verso le Americhe; e gli anni settanta del secolo scorso, quando i flussi immigratori nella penisola cominciarono a guadagnare progressivamente protagonismo.
Nell’impossibilità di dar conto dei singoli contributi, ci limiteremo a segnalare le peculiarità del caso italiano come emergono nelle diverse fasi. Dall’età tardoantica alla fine del Settecento, l’Italia fu un crocevia di movimenti migratori: a determinarli concorsero, oltre alla posizione geografica al centro del Mediterraneo, guerre civili, invasioni e frammentazione politica, che provocarono partenze di esuli e proscritti, ma nello stesso tempo ampliarono i mercati e i circuiti commerciali in cui la penisola era tradizionalmente inserita. La Chiesa cattolica ebbe un ruolo non minore (Prencipe): le persecuzioni religiose furono per secoli un fattore di espulsione di eretici e minoranze, mentre la presenza del papato contribuì a fare di Roma un polo di immigrazione.
La seconda sezione dell’Annaleprende in esame le migrazioni otto-novecentesche, alternando quadri d’insieme (Gabaccia, Sori, Ramella, Sala) e studi di caso (Baldassar). L’unificazione del Paese e il processo di modernizzazione che ne seguì, pur senza marcare una discontinuità assoluta con il periodo precedente, portarono ad una notevole intensificazione dei flussi in uscita, e, combinandosi con le trasformazioni socioeconomiche del contesto internazionale, diedero avvio ad una stagione contraddistinta dall’esodo di massa verso le Americhe ma anche da una forte mobilità in direzione dell’Europa. Dopo la Prima guerra mondiale, e ancora dopo la Seconda, fu quest’ultima direttrice a prevalere, mentre le migrazioni interne, di cui Ramella ricostruisce dinamiche e percorsi dall’Unità ai giorni nostri, pur essendo una costante dell’intero periodo, acquisirono peso soprattutto a partire dagli anni venti del Novecento. La caratteristica saliente dei flussi italiani verso l’estero fu la temporaneità, come emerge da molti saggi e, in particolare, dall’analisi che Sori compie del ruolo avuto dalle rimesse nello sviluppo economico nazionale ma anche, indirettamente, dai contributi di Corti sulle famiglie transnazionali e di Rinauro sull’emigrazione clandestina nel secondo dopoguerra.
È un aspetto, quello del ritorno in patria e della circolarità dei movimenti migratori, che rimanda a una questione oggi al centro della ricerca: la dialettica tra le scelte dei migranti e i limiti loro imposti dai contesti politici ed economici. Essa attraversa in filigrana tutto l’Annalee assume speciale rilievo nell’ultima parte, che si concentra sulle migrazioni dei decenni a cavallo «tra Novecento e nuovo millennio».
In questa fase gli italiani hanno continuato a emigrare all’estero e a spostarsi all’interno della penisola (quasi esclusivamente, in verità, dalle regioni meridionali verso il Centro-Nord), ma al contempo in Italia si è assistito all’aumento esponenziale degli arrivi di immigrati. Vari saggi mettono dunque a confronto l’esperienza degli uni e degli altri (Colucci, Molinari) e analizzano il modo in cui il Paese ha gestito i flussi di immigrazione dagli anni ottanta a oggi.
Emblematico, a tale riguardo, è il fatto che, mentre in altri contesti europei è stata l’eredità coloniale a pesare sull’integrazione degli stranieri, ostacolandola, da noi è piuttosto quella migratoria a condizionare (negativamente, almeno dal nostro punto di vista) le politiche: basti pensare alla recente riaffermazione di una concezione della nazionalità basata sul principio dello ius sanguinis, che ritarda l’acquisizione della cittadinanza da parte degli immigrati che vivono e lavorano in Italia, e di contro la concede ai discendenti di emigrati anche di terza o quarta generazione nati e cresciuti all’estero, che non partecipano in nessuna forma alla vita nazionale (Tintori). Su queste contraddizioni, e su quelle legate più in generale a un «uso pubblico dell’emigrazione», in cui si mescolano localismi ed echi della visione nazionalistica d’antandelle comunità italiane nel mondo (Tirabassi), sono molti gli spunti per ulteriori approfondimenti.
La natura stessa del fenomeno oggetto del volume, del resto, rende l’Annale, oltre che l’occasione per un bilancio esaustivo e una sistemazione della produzione storiografica sulle migrazioni italiane, un’opera aperta e suscettibile di aggiornamenti. A conferma del fatto che a pochi Paesi può applicarsi meglio che all’Italia la definizione delle migrazioni come «fatto sociale totale», che Robert Merton prese in prestito da Marcel Mauss: un prisma, che permette di studiare qualsiasi aspetto di una società in ogni epoca della sua storia.
Federica Bertagna