Nell’ultimo quindicennio, in Italia, la narrazione dell’emigrazione è stata oggetto di una nutrita serie di pubblicazioni a carattere divulgativo. Il fatto singolare è che a occuparsi della storia dei flussi migratori che interessarono il nostro paese soprattutto dalla seconda metà dell’Ottocento talvolta non sono stati studiosi o specialisti, ma piuttosto giornalisti, incalzati dal nuovo ruolo che viene assumendo l’Italia come paese d’immigrazione. I lavori, pregevoli perché hanno riproposto ad un pubblico difficilmente raggiungibile dagli specialisti uno dei fenomeni centrali della storia italiana, difettano spesso di un bilancio complessivo dell’esperienza migratoria, proponendosi invece come la mera ricostruzione di singoli eventi. Mentre ricordano agli italiani il coinvolgimento dei loro padri, nonni e bisnonni nei flussi otto-novecenteschi europei e transoceanici, spesso senza soffermarsi sulla varietà delle loro motivazioni e strategie di vita, quei lavori rischiano di consolidare un’immagine povera dell’emigrante e dell’emigrazione italiana.
Il libro della studiosa argentina María Bjerg Historias de la inmigración en la Argentina evita questo pericolo di riduzione stereotipata. Il suo lavoro, infatti, rivolto al grande pubblico, è quasi un modello perché, con uno stile diretto e semplice, non solo spiega le principali caratteristiche della inmigracion masiva (l’arrivo in massa di europei nella nazione latinoamericana a partire dagli anni ottanta dell’Ottocento), ma analizza le dinamiche e le strategie dei protagonisti, indagando oltre la mera miseria additata di regola quale causa di ogni flusso. Come dichiara la stessa Bjerg, il libro propone due approcci allo stesso fenomeno: quello dell’emigrazione come fenomeno sociale e quello degli emigranti come attori.
La formazione della Bjerg, storica specializzata in flussi migratori, le consente di avere un quadro complessivo dell’evento migratorio e di trarre conclusioni basate sull’analisi di numerose esperienze relative a singoli, a famiglie e a gruppi. Il libro è diviso in due parti: la prima è dedicata al fenomeno migratorio nel suo insieme, mentre la seconda ripropone le storie di vita di tre donne (una tedesca, una danese e una italiana, la scienziata ebrea Eugenia Sacerdote) e due coloni ebrei russi. Al suo interno la prima parte descrive i flussi migratori che interessarono l’Argentina dalla metà dell’Ottocento agli anni cinquanta del Novecento e si sofferma su alcuni temi che l’autrice considera essenziali: la vita degli emigranti in ambito urbano e rurale; il ruolo della famiglia, dei rapporti familiari e delle reti sociali in emigrazione; l’incidenza di grandi eventi mondiali, come la Prima e la Seconda guerra. Questi ultimi modificarono l’andamento dei flussi sia per le conseguenze che ebbero su una economia fortemente orientata alle esportazioni come quella dell’Argentina, sia per gli effetti che le crisi e i conflitti sociali che ne seguirono ebbero sulle politiche migratorie più o meno restrittive adottate dalla nazione latinoamericana. Ogni tema è spiegato alla luce di varie dimensioni: l’immigrazione in ambito urbano, per esempio, viene interpretata ricorrendo ad una lettura del ruolo delle associazioni e della stampa etniche e descrivendo la vita quotidiana dei nuovi arrivati in quanto lavoratori e fruitori di alloggi.
È importante riportare ordinatamente alcune conclusioni di Bjerg. Prima dell’approvazione della legge Avellaneda del 1876 (cardine della politica migratoria di colonizzazione e popolamento del governo argentino) la maggior parte degli emigranti europei giunti nel paese latinoamericano era rappresentata da maschi giovani senza famiglia con un elevato tasso di rimpatri. Fino alla Prima guerra mondiale, nonostante la politica di colonizzazione delle campagne promossa dallo stato, la maggioranza degli emigranti viveva in aree urbane (nel 1914, per esempio, il 69 per cento degli italiani risiedeva in città). La politica del «biglietto sussidiato», adottata dal governo argentino tra il 1888 e il 1891 per cercare di diversificare le componenti etniche dei nuovi arrivati, non scalfì la maggioritaria presenza italiana dei flussi. Tra gli anni quaranta e cinquanta del secolo scorso, la maggior parte degli emigranti giunse in Argentina grazie a reti familiari e paesane nonostante gli accordi sottoscritti dal governo peronista con alcuni paesi europei come l’Italia e la Spagna per richiamare oltreoceano alcune particolari categorie professionali. Gli emigranti avrebbero mostrato due livelli identitari tra loro complementari che, se nella dimensione dei rapporti comunitari ed economici, almeno in ambito rurale, venivano superati con relativa facilità dando origine ad un’arena sociale cosmopolita, a livello familiare ed etnico si dimostravano impermeabili agli influssi esterni, consentendo il mantenimento e la trasmissione delle culture originarie ai loro figli. La decisione della partenza, spesso intesa come scelta strettamente personale, fu il risultato di strategie migratorie familiari e di risposte adottate da molteplici attori in un contesto di razionalità limitata. Le famiglie e le comunità transnazionali, salite alla ribalta soprattutto per quanto riguarda le migrazioni odierne verso gli Stati Uniti, caratterizzarono anche i massicci flussi migratori dell’Argentina otto-novecentesca. A cavallo tra i due secoli, in Argentina, i matrimoni endogamici furono prevalenti tra gli emigranti europei in generale, ma furono ancora più alti nelle comunità numericamente più piccole come quelle dei tedeschi del Volga, dei danesi e dei gallesi. Bjerg evidenzia, inoltre, la preponderante presenza degli italiani nei flussi migratori europei (tra il 1881 e il 1914, per esempio, in due milioni arrivarono in Argentina), soffermandosi sui loro principali sbocchi lavorativi, sul ruolo della stampa etnica e sulla scelta della nazione latinoamericana come rifugio politico.
Si tratta, appare evidente, di conclusioni meditate, frutto di riflessioni sul contesto politico-economico, risultato di una nutrita serie di studi puntuali, alle quali Bjerg giunge dopo decenni di ricerca.
Javier P. Grossutti