Gian Antonio Stella, l'uso e l'abuso della memoria

“Si chiamava Saartjie Baartman”. Comincia così l’incontro con Gian Antonio Stella, giornalista de Il Corriere della Sera, con la storia di una donna sudafricana di etnia khoikhoi che nell’Ottocento fu portata in Europa ed esposta in “circoli, teatri e circhi” per le fattezze del suo sedere.

 

“Il razzismo è il senso di superiorità verso l’altro che colpisce le singole persone”, spiega il giornalista all’inizio di un’analisi sul razzismo.

“Troppo dolore si è sparso nella nostra storia. Se non si ricordano gli errori si possono rifare”. Il caso del genocidio degli armeni è esemplare: “Prima dell’olocausto Hitler disse ai suoi generali ‘Chi si ricorda più del genocidio degli armeni?’”. Ora invece si denigra anche la Shoah, sottolinea facendo ascoltare brani neonazisti.

Stella ricorda le vicende personali di Sinisa Mihajlovic e dell’amico che girò le spalle al calciatore e alla sua famiglia serbo-croata agli inizi degli anni Novanta. Il conflitto “cominciò con una specie di Pontida serba, con Milosevic che esaltò la forza dei serbi contro i musulmani”, racconta lo scrittore. Decenni prima, nelle stesse zone, c’era stata “la cacciata degli italiani dal Quarnero, dall’Istria e dalla Dalmazia”, le foibe che sono state “cavalcate solo per motivi politici”. Ma non in maniera univoca, dice raccontando di un videogioco sloveno in cui vince chi riempie più foibe.

“Qual è l’identità? Qual è la patria?”, è la questione che introduce il tema dei nazionalismi. “Occorre essere sobri nel maneggiare la memoria, nel maneggiare l’identità” afferma Stella prima di mostrare la foto di Umberto Bossi che mostra il dito medio parlando dell’Inno di Mameli: “È così che si sostengono le proprie ragioni? È così che si sostiene la propria identità?”. La sua critica non lascia da parte il Risorgimento e cita le uccisioni dei briganti e gli orrori compiuti dai bersaglieri. Tuttavia non mette in discussione l’Unità d’Italia, anzi stigmatizza la denigrazione pretestuosa degli eroi risorgimentali: “C’è un’altra epopea cancellata dalla memoria nazionale, quella dell’emigrazione italiana”. Ricorda le condizioni disperate di una volta: “Anche noi siamo stati clandestini”, sottolinea. Ricorda il razzismo subito dagli emigrati, i linciaggi di cui sono stati vittime e della maniera in cui la rivista Noi veneti tratta la questione: “Su 175 pagine solo otto righe sono state usate per parlare di quattro milioni di veneti emigrati”.

“Raccontiamo tutta la storia, non solo il pezzo che ci interessa”, ribadisce. E allora Stella racconta i massacri dei colonialisti italiani in Africa, la pulizia etnica dei rom e le frasi di Giancarlo Gentilini sullo sterminio di nomadi e omosessuali: “Ma come si fa a dire queste parole?! Li abbiamo già fatti!”. La rassegna degli orrori del razzismo si conclude con un messaggio positivo, con le persone che si sono ribellate alle leggi razziali, come il professore Massimo Bontempelli, che non accettò la cattedra di un docente ebreo espulso dall’università; o come il re danese che si oppose ai nazisti: “Beati quei popoli che non hanno bisogno di eroi – conclude Stella –. Ma se proprio un eroe ce lo vogliamo scegliere, scegliamo Cristiano X di Danimarca”.

Arena Bookstock, ore 12.10, giovedì 13 maggio 2010

Andrea Giambartolomei

http://www.salonelibro.it/

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