La collezione curata da Loretta Baldassar e Donna Gabaccia muove dall’assunto che una sfera privata diasporica – ovvero una dimensione transnazionale dell’intimità, dell’affettività e della sessualità che regola ed è regolata dal rapporto tra migranti e nazione – sia altrettanto importante di quella pubblica nell’articolare l’inclusione degli immigrati e dei loro discendenti nelle diverse compagini nazionali. Il caso dei circa ventisei milioni di italiani che lasciarono il paese dopo l’Unità è in questo senso particolarmente illuminante, a causa dello spazio che gli intensi rapporti familiari, la convivialità, l’espressione franca ed esuberante delle emozioni, delle passioni e della sensualità hanno avuto nelle rappresentazioni degli italiani in molti luoghi d’immigrazione, così come nelle autorappresentazioni che gli stessi migranti hanno operato di sé.
Nella loro introduzione al volume, Baldassar e Gabaccia individuano due livelli in cui l’intreccio tra intimità, genere e appartenenza nazionale ha plasmato l’esperienza degli italiani nel mondo. Il primo è l’utilizzo delle metafore intime e domestiche nel linguaggio nazionalista: lo stato-nazione richiede l’amore (di patria) dei suoi membri, anche fino all’estremo sacrificio; la famiglia è definita come il nucleo fondamentale della collettività nazionale e rappresentativo della solidarietà a essa dovuta; le donne-madri garantiscono la riproduzione biologica della nazione in una continuità segnata dal sangue e dagli affetti. Secondo Baldassar e Gabaccia, gli italiani della diaspora hanno dato risposte diverse a questi discorsi; talvolta abbracciandoli, più spesso riservandogli scetticismo e condiscendenza.
Il secondo livello, che è molto più facile incontrare in altri recenti studi sulle migrazioni (si vedano ad esempio i numeri speciali delle riviste Journal of Intercultural Studies 29:3, 2008 su «Transnational Families: Emotions and Belonging» e Mobilities 4:3, 2009 su «Love, Sexuality and Migration») è quello del dispiegarsi transnazionale degli affetti e della cura per i membri della famiglia (parte della quale si può trovare in Italia e parte altrove); delle idee «italiane» riguardo all’onore, alla sessualità, alla maternità e allo spirito di sacrificio per l’interesse domestico; della nostalgia per la «madrepatria» a cui tornare, fisicamente o virtualmente; e della ricca ritualità privata «all’italiana» con cui gli immigrati hanno cercato di «addomesticare» un mondo pubblico percepito come minaccioso e discriminatorio. Si può concordare con Baldassar e Gabaccia che è su queste basi che i migranti dalla penisola hanno costruito larga parte della loro identità di italiani nel mondo.
Delle possibili chiavi di lettura di queste complesse questioni, le curatrici ne hanno scelte tre, dedicando a ognuna una sezione del volume. La prima sezione focalizza l’uso della biografia nell’interpretazione del rapporto tra privato/soggettività e nazione in una chiave diasporica. Fanno parte della sezione il saggio di Ros Pesman sulla vita transnazionale di Giorgina Craufurd a Aurelio Saffi, due seguaci di Mazzini che cercarono di vivere in prima persona le idee dell’esule risorgimentale riguardo alla pari dignità dei sessi e alla famiglia come allegoria di ciò che la nuova Italia avrebbe dovuto essere; quello di Giorgio Bertellini su Rodolfo Valentino e del suo ruolo nella costruzione della nozione di latin lover, un ibrido contenitore di identità sessuali e razziali che ha costituito un significativo paradigma internazionale di «mascolinità italiana»; quello di Carol Stabile su suo padre, un G.I. italoamericano che la Seconda guerra mondiale catapultò dal milieu proletario del nativo New Jersey alle Hawaii, dove compì attraversamenti di barriere razziali, sessuali e di classe che sarebbero stati impossibili «a casa»; e quello di Caroline Merithew sull’immigrata piemontese nell’Illinois minerario Katie DeRorre e sul suo tentativo di utilizzare la domesticità etnica come spazio semi-pubblico in cui sviluppare solidarietà di classe e di genere. Nella loro varietà, i quattro capitoli confermano come la biografia costituisca una strategia analitica essenziale per cogliere il senso dei discorsi politici, compresi quelli nazionali, perché – come insegna Michel Foucault – è nel soggetto e nella sua azione che essi tutti confluiscono e si dipanano (per un utile raffronto si possono vedere i lavori più recenti di Luisa Passerini, a partire da Europe in Love, Love in Europe: Imagination and Politics Between the Wars, 1999).
La seconda sezione del volume è dedicata alle diverse declinazioni delle idee riguardo al matrimonio e alla maternità «italiane» a diverse latitudini; rispettivamente in Australia (Pavla Miller), Irlanda (Carla De Tona); Germania (Yvonne Rieker) e Italia (con il capitolo di Wendy Pojmann sulle condizioni delle lavoratrici domestiche immigrate viste sullo sfondo della storia delle donne e del femminismo italiano). Le fonti primarie su cui si basano questi lavori sono principalmente interviste, per cui la giustapposizione dei quattro contributi risulta in un’interessante storia orale di genere sviluppata in una chiave transnazionale. I capitoli, infatti, trattano di maternità e matrimonio soprattutto da un punto di vista comparativo: le diverse condizioni delle donne (sposate e non sposate) nei paesi d’emigrazione e in quelli di destinazione; i ruoli delle donne nell’elaborazione del progetto migratorio e negli spazi pubblici e privati in Italia e nel paese di destinazione; le opportunità offerte e negate loro dai rispettivi stati sociali in diversi momenti storici; i mutevoli contesti politici e culturali che influenzano le scelte delle generazioni di donne nate all’estero eccetera.
La terza e ultima parte della collezione è occupata da studi etnografici di caso: rispettivamente una descrizione della comunità di pescatori siciliani di Monterey, del significativo spessore delle relazioni transnazionali tra Sicilia e California e del ruolo speciale delle donne nel mantenere vive queste relazioni per più di un secolo (Carol Lynn McKibben); le modalità in cui le caratteristiche distintive dell’emigrazione italiana in Svizzera hanno plasmato le vite e gli orizzonti affettivi sia di chi è partito che di chi è restato (Susanne Wessendorf); e una discussione di come l’assunzione di responsabilità morale verso il «ritorno al paese» e l’investimento nella cura dei rapporti con i familiari rimasti in Veneto rappresenti effettivamente, per un campione di italoaustraliani di prima e seconda generazione, il cuore della propria nozione di italianità (Loretta Baldassar).
Intimacy and Italian Migration si segnala favorevolmente per un grado di coerenza e consapevolezza teorico-metodologica dei singoli saggi rispetto al complesso dell’opera che è superiore agli standard di operazioni editoriali simili. Ciò è probabilmente anche dovuto al fatto che il volume è il frutto di ben due conferenze sul tema, una tenuta in Australia e l’altra negli Stati Uniti. Un altro punto a favore è che, sebbene la collezione nel suo complesso sia stata scritta per un pubblico specializzato, i saggi contenuti, presi ad uno ad uno, si prestano a essere utilmente adottati nelle reading list di corsi di storia, antropologia e sociologia dell’immigrazione.
Il dubbio principale lasciato dal libro, ove lo si legga in estrema sintesi, è che la focalizzazione sull’emotività privata e la ritualità domestica degli italiani del mondo non sia risultata solo nella «positiva» riluttanza a farsi coinvolgere dalla retorica nazionalista (alternativa al conflitto di classe e portatrice della violenza e distruzione che ha insanguinato in particolare il Novecento), ma anche in quello che alla fine degli anni cinquanta Edward Banfield ha definito familismo amorale – un ethos familiare autoreferenziale che inibisce la partecipazione alla vita civile e democratica – in Italia, nei paesi d’immigrazione e negli spazi transnazionali creati dalle migrazioni. La domesticità diasporica italiana serve più a resistere alle richieste invasive del pubblico, offrire ai più deboli tra gli immigrati italiani un supporto materiale ed emotivo che lo stato sociale dei paesi d’immigrazione non offre e a difendere la propria identità multiculturale, o è soprattutto espressione di una cultura patriarcale e sostanzialmente reazionaria? «Among the descendents of Italians living abroad», conclude l’introduzione di Baldassar e Gabaccia, «a connection to Italy is often expressed through identification with particular friends and family and particular local home places and deeply felt obligations to stay connected with them, as well as with the pleasures of kinship, domestic life, and cuisine, while the nation and the nation-state remain objects of suspicion when not of outright scorn and contempt». Da questo punto di vista, i casi del soldato Mike Stabile, che esperisce per la prima volta una sua completa «bianchitudine» alle Hawaii, attraverso incontri con donne asiatiche che lui presume automaticamente disponibili a soddisfare i suoi desideri sessuali, o delle donne italiane di ceto medio che possono combinare agevolmente carriera e maternità negando la stessa possibilità alle donne di servizio immigrate (che sfruttano e trattano con aria di superiorità), sembrano rappresentativi di una nazione diasporica che, partita da condizioni di vita proletarie, ha raggiunto in due generazioni benessere materiale e piena cittadinanza, e usa ora la propria distintiva domesticità per escludere altri gruppi più svantaggiati (in particolare le donne di colore). Le eccezioni che il libro offre a questo quadro, come la salon culture proletaria di Katie DeRorre o i tentativi dei gruppi femministi di colmare il divario sociale che affligge le donne immigrate in Italia descritti nel capitolo di Wendy Pojmann, giungono quindi come particolarmente benvenute.
Dal punto di vista metodologico, qualche capitolo avrebbe potuto trarre benefici da un approccio maggiormente comparativo e/o interdisciplinare (trattando il volume di emozioni, si pensa immediatamente all’apporto della psicologia e della psicanalisi, ma lo stesso discorso si può fare per lo studio delle religioni, data, ad esempio, la rilevanza dell’imprinting culturale del culto mariano nella nozione «italiana» di maternità). La mancanza di casi da Francia, Brasile, Argentina e paesi del Mediterraneo e dell’Africa subsahariana è un problema che le stesse curatrici rilevano nella loro introduzione.
Negli ultimi vent’anni, Donna Gabaccia ha contribuito come nessun altro a sprovincializzare e internazionalizzare gli studi sull’emigrazione italiana: utilizzando categorie euristiche transdisciplinari in una produzione storiografica di rara ampiezza e qualità, la studiosa della University of Minnesota ha posto il caso della diaspora italiana al centro dei più ampi e aggiornati dibattiti scientifici sulla mobilità umana. Con questa collezione, Baldassar e Gabaccia segnano un altro importante punto in questa stessa meritoria e indispensabile missione.
Simone Cinotto